La domanda avente ad oggetto l’impugnativa di un licenziamento intimato in forma orale, rientra nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 co. 1 L. 300/70 e, pertanto il rito cd. Fornero è obbligatorio.*
La domanda di accertamento dell’interposizione fittizia non è ostativa all’applicazione del rito speciale, trattandosi di questione relative alla qualificazione del rapporto di lavoro o comunque di domanda fondata sugli identici fatti costitutivi.
Il licenziamento intimato in forma orale non produce effetti, né la relativa impugnazione è soggetta al termine decadenziale di gg. 60 ex art. 6 L. 604/66, poiché esso decorre solo dalla ricezione della comunicazione in forma scritta.
*(obbligatorio sino al marzo 2015 giusto art. 11 d.lgs 23/2015)
Tribunale di Lecce – Sezione Lavoro n. 2132/2018
Il giudice del lavoro dr. Luca Notarangelo ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 4513/2016 del Registro Generale e promossa da
A SOCIETÀ COOPERATIVA e A SRL,
rappresentate e difese dall’avv. e dall’avv.
Ricorrenti
nei confronti di
M , rappresentato e difeso dall’avv. MELLONE ANTONIO
Resistente
Oggetto: Opposizione L. 92/2012 cd. Legge Fornero
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso ex art. 1 co. 48 L. 92/12 proposto con atto depositato in data 17/09/2015 nei confronti di A SOCIETA’ COOPERATIVA e A SRL, M F chiedeva in via principale di accertare l’interposizione fittizia di manodopera e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di A s.r.l. dal 13 o dal 27 ottobre 2014, nonché di dichiarare l’inefficacia del licenziamento intimato in forma orale in data 30/7/2015 e di ordinare ad A la reintegra nel posto di lavoro occupato nello stabilimento di N , con condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno ex art. 18 comma 2 S.L., stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento fino alla effettiva reintegrazione e comunque non inferiore a cinque mensilità, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
All’esito della fase sommaria, con ordinanza ex art. 1 co. 49 L. 92/12 emessa in data 02/03/2016 il Giudice così provvedeva: “Accoglie la domanda di accertamento dell’interposizione fittizia e, per l’effetto, accerta e dichiara la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il ricorrente ed A s.r.l. dal 27 ottobre 2014 con le mansioni, il livello di inquadramento e la retribuzione indicati nelle buste paga in atti. Accerta e dichiara l’inefficacia del licenziamento intimato in forma orale in data 30/7/2015 e, per l’effetto, ordina alla A s.r.l. la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro occupato nello stabilimento di N , con condanna al risarcimento del danno ex art. 18 co. 2 S.L., stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento fino alla effettiva reintegrazione e comunque non inferiore a cinque mensilità, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Condanna le convenute, in solido, al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite della fase sommaria, liquidate in € 1.600,00 oltre rimborso forfetario 15%, IVA e CPA con distrazione. Manda alla cancelleria per quanto di competenza”.
Con ricorso in opposizione ex art. 1 co. 51 L. 92/2012 in data 01/04/2014, A SOCIETA’ COOPERATIVA e A SRL chiedevano il rigetto della domanda proposta da M F , eccependo in via preliminare l’inapplicabilità del Rito Fornero e la tardività dell’impugnazione del licenziamento; nel merito, eccepivano il difetto del requisito dimensionale ex art. 18 L. 300/70, l’inesistenza di una intermediazione di mano d’opera essendo intervenuto tra le parti un genuino contratto di appalto di servizi, nonché l’assenza di un licenziamento orale, in quanto il rapporto di lavoro si sarebbe risolto per dimissioni del lavoratore.
Costituendosi con memoria depositata in data 30/08/2018, M F eccepiva l’inammissibilità del ricorso in opposizione, proposto con lo stesso atto e con conferimento di mandato congiunto agli stessi due difensori da due società in conflitto di interessi; nel merito, chiedeva il rigetto dell’opposizione nonché di disporre la sostituzione della reintegra con la corresponsione dell’indennità sostitutiva delle 15 mensilità.
La causa veniva istruita con l’assunzione delle prove ammesse all’udienza del 13/09/2016.
All’esito dell’attività istruttoria, all’udienza del 05/06/2018 la causa veniva trattenuta per la decisione, con riserva di depositare la sentenza completa di motivazione nel termine di 10 gg. ex art. 1 co. 57 L.92/12.
L’eccezione di inammissibilità del ricorso in opposizione, proposto con lo stesso atto e con conferimento di mandato congiunto agli stessi due difensori da due società è infondata, non essendo ravvisabile un conflitto di interessi giuridicamente rilevante tra le due società (aldilà di eventuali considerazioni di opportunità e di strategia processuale che non rilevano ai fini della ammissibilità del ricorso e del mandato alle liti).
Sempre in via preliminare, si deve rilevare che la controversia è stata correttamente instaurata con il cd. “Rito Fornero”; per come formulato, il ricorso rientra pienamente nelle previsioni della riforma legislativa di cui alla legge 28/6/2012 n. 92. L’art. 1 commi 47 e 48 lex cit. stabilisce infatti che “47. Le disposizioni dei commi da 48 a 68 si applicano alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.” “48. La domanda avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento di cui al comma 47 si propone con ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro. Il ricorso deve avere i requisiti di cui all’articolo 125 del codice di procedura civile. Con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47 del presente articolo, salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi. (…)”. Nel caso di specie, la domanda principale ha ad oggetto l’impugnativa di un licenziamento intimato in forma orale, che come tale rientra nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 co. 1 L. 300/70; rispetto a tale domanda, il rito cd. Fornero è obbligatorio; la domanda di accertamento dell’interposizione fittizia non è ostativa all’applicazione del rito speciale, trattandosi di questione relative alla qualificazione del rapporto di lavoro o comunque di domanda fondata sugli identici fatti costitutivi.
Quanto alla tempestività dell’impugnativa del licenziamento, si deve rilevare che il licenziamento intimato in forma orale non produce effetti, né la relativa impugnazione è soggetta al termine decadenziale di gg. 60 ex art. 6 L. 604/66, poiché esso decorre solo dalla ricezione della comunicazione in forma scritta, che nel caso di specie invece difetta (al più, secondo la tesi delle ricorrenti, vi sarebbero state dimissioni). Identico discorso vale per la questione relativa al presunto difetto del requisito dimensionale ex art. 18 L. 300/70, in quanto – aldilà delle questioni relative all’accertamento dell’effettivo datore di lavoro e dell’unico centro di imputazione del rapporto – il licenziamento intimato in forma orale è inefficace e produce gli effetti di cui al primo comma dell’art. 18, indipendentemente dal numero di dipendenti dell’azienda, rilevante solo ai fini delle disposizioni dei commi da quarto a settimo, come espressamente previsto dal comma ottavo.
Nel merito, la domanda di accertamento dell’interposizione fittizia è fondata e deve essere accolta.
Come già evidenziato nell’ordinanza opposta, “gli informatori escussi hanno confermato che il ricorrente lavorava da ottobre 2014 presso gli uffici della s.r.l. siti in , svolgendo le mansioni descritte al capitolo 4) del ricorso, con vincolo di subordinazione nei confronti dell’effettivo datore di lavoro
s.r.l. e ricevendo direttive sul lavoro da svolgere da , socia, e dal marito direttore del personale; si vedano, al riguardo, le dichiarazioni di , la quale ha riferito di essere stata assunta da A nel febbraio 2015 e che il ricorrente già lavorava per tale società; che entrambi svolgevano le stesse mansioni di addetti all’ufficio commerciale, con compiti di trattare con i clienti per quanto riguarda gli ordini ed i preventivi; che le direttive al personale venivano impartite dal citato (mentre la sig.ra si occupava della fase produttiva e della contabilità) e che tutti i macchinari esistenti sul luogo di lavoro appartenevano ad A . Si vedano altresì le dichiarazioni rese dagli informatori i quali hanno riferito che era il ricorrente a ricevere le telefonate relativi agli ordini indirizzati dai clienti alla A ed era sempre lui ad inviare ai clienti i relativi preventivi. Non vi sono motivi per dubitare dell’attendibilità di tali dichiarazioni, che non sono state smentite da prove contrarie ed anzi trovano conferma nella documentazione in atti (all. 4 fascicolo ricorrente), da cui risulta che, almeno in una occasione, la retribuzione del ricorrente è stata corrisposta con bonifico effettuata dalla stessa A SRL in nome e per conto di A società cooperativa”.
Tali conclusioni devono essere ribadite anche in questa sede, non essendo emerso alcun elemento di segno contrario ed avendo i testimoni escussi, sotto giuramento, confermato le dichiarazioni già rese nella fase sommaria quando erano stati sentiti come informatori (mentre gli altri testi, che non erano stato sentiti in fase sommaria, non hanno saputo aggiungere nulla di rilevante ai fini per cui è causa). Rispetto alla fase sommaria, l’unico elemento di novità è costituito dal fatto che le ricorrenti hanno prodotto un “contratti di appalto di servizi” del 3/6/13, con il quale l’appaltatrice A SOCIETA’ COOPERATIVA assumeva l’incarico di svolgere servizi di per conto della committente A SRL (mentre nella fase sommaria l’esistenza di tale contratto era stata solo dedotta ma non provata).
Rispetto a tale contratto si deve rilevare che – aldilà della mancata produzione di documentazione da cui risulti il pagamento del corrispettivo pattuito per i servizi prestati dall’appaltatrice – dall’atto non si evince quali fossero i mezzi impiegati dalla appaltatrice nell’esecuzione del contratto, né nulla di rilevante hanno riferito i testi al riguardo, avendo anzi riferito che i macchinari impiegati appartenevano tutti ad A.
Nulla è inoltre emerso quanto all’assunzione del rischio di impresa da parte della appaltatrice.
Si tratta quindi di un appalto non genuino, di manodopera e non di servizi, per cui la presente fattispecie rientra nelle ipotesi di divieto di intermediazione ed intermediazione fittizia di manodopera.
Al riguardo, secondo la S.C. “Il divieto di intermediazione ed interposizione di manodopera nelle prestazioni di lavoro in riferimento agli appalti endoaziendali, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività,
ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore- datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo. Non è necessario, infatti, per realizzare un’ipotesi di intermediazione vietata, che l’impresa appaltatrice sia fittizia, atteso che, una volta accertata l’estraneità dell’appaltatore all’organizzazione e direzione del prestatore di lavoro nell’esecuzione dell’appalto, rimane priva di rilievo ogni questione inerente il rischio economico e l’autonoma organizzazione del medesimo” (Cassazione civile sez. lav., 24/11/2015, n. 23962).
Nel caso di specie, sulla base delle prove orali e documentali innanzi indicate, l’assunzione effettuata da A società cooperativa – peraltro solo nelle forme della domanda di ammissione come socio e senza un contratto scritto – è da ritenersi fittizia, essendo emerso che tale cooperativa si limitava ad emettere le buste paga, ma la prestazione lavorativa era utilizzata dal A SRL, la quale impartiva al ricorrente le direttive sul lavoro da svolgere, gli forniva i mezzi e le attrezzature necessarie allo svolgimento delle proprie mansioni e gli corrispondeva materialmente la retribuzione (o almeno ciò è accaduto in qualche occasione). La sostanziale parità di condizioni tra i dipendenti delle due società (in particolare tra M e V
, che svolgeva le sue stesse mansioni) si ricava anche dall’episodio del licenziamento orale, su cui si tornerà tra poco, non solo perché tale licenziamento è stato intimato dal direttore del personale di A SRL ( ), che formalmente non era la società datrice di lavoro, ma anche perché il licenziamento trae origine da una discussione avvenuta il giorno prima tra lo stesso M e R
(socia di A oltre che moglie di ), la quale gli rimproverava di non allegare mai gli ordini dei clienti, al contrario di quello che faceva la sua collega, ovvero la stessa V ; ciò rende evidente che, in primo luogo, A esercitava un potere non solo direttivo ma anche disciplinare nei confronti dei dipendenti di A SOCIETA’ COOPERATIVA; in secondo luogo, che le attività svolte dai dipendenti delle due società erano perfettamente sovrapponibili quanto alle relative modalità di svolgimento. Ne consegue che deve ritenersi accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di A s.r.l. dal 27 ottobre 2014; come già evidenziato nell’ordinanza opposta, la domanda di accertare che l’effettiva data di inizio del rapporto era il 13 e non il 27 ottobre 2014 è estranea all’oggetto del rito speciale e non può essere quindi esaminata, oltre ad essere comunque irrilevante ai fini della decisione.
Rimane quindi da stabilire se vi sia stato un licenziamento orale, come dedotto dal lavoratore, ovvero se vi siano state dimissioni, come eccepito dalle ricorrenti in opposizione, le quali – a sostegno della loro tesi – hanno prodotto una lettera del 30/7/2015; come si è già evidenziato nell’ordinanza che ha definito la fase sommaria, tale lettera “– oltre ad essere stata disconosciuta dal ricorrente, il quale deduce di essersi limitato a firmare un foglio in bianco – contiene solo una dichiarazione di recesso come socio lavoratore, ma non esprime in modo certo la volontà di recedere dal rapporto di lavoro, dato che appena una settimana dopo le presunte dimissioni (con PEC del 6/8/2015 e poi con raccomandata A/R spedita il 28/8/2015) il ricorrente ha impugnato il licenziamento intimatogli in forma orale (condotta evidentemente incompatibile con la volontà di dimettersi); tale missiva era peraltro indirizzata non solo al datore di lavoro formale A soc. coop., ma anche al datore di lavoro effettivo A SRL ed esprimeva chiaramente la volontà del ricorrente di offrire la propria prestazione lavorativa ed essere reintegrato nel posto di lavoro. In senso contrario alla tesi delle dimissioni depongono poi le dichiarazioni dell’informatrice V , la quale ha riferito di avere assistito in data 29/7/2015 ad un attrito tra il ricorrente e R , all’esito del quale il ricorrente se ne andò a casa e, quando tornò sul posto di lavoro il giorno successivo, A (marito della sig.ra R nonché direttore del personale per A ) gli disse “Che ci fai qui? Come mai sei venuto?”, circostanza questa che le era stata riferita dallo stesso Aloisi; appare quindi evidente che vi è stato un licenziamento orale intimato al ricorrente dallo stesso per conto di A ; tali dichiarazioni, infatti, non solo confermano che non si è trattato di dimissioni, ma confermano altresì che il licenziamento è stato intimato da A , mentre alcun riferimento è stato fatto ad A società cooperativa”.
Tali conclusioni devono essere ribadite anche in questa sede, non essendo emerso alcun elemento di segno contrario ed avendo i testimoni escussi, sotto giuramento, confermato le dichiarazioni già rese nella fase sommaria come informatori (mentre gli altri testi, che non erano stato sentiti in fase sommaria, non hanno saputo dire se M si fosse dimesso o fosse stato licenziato, e anzi la teste D , moglie di M , ha riferito che il marito tornò a casa dicendo di essere stato licenziato da A ).
Rispetto a quanto già evidenziato nell’ordinanza oggetto di opposizione – anche volendo dubitare della attendibilità delle dichiarazioni della teste , dato il rapporto di coniugio con M – si deve solo aggiungere che non vi sono motivi per dubitare dell’attendibilità delle dichiarazioni rese da V
; da tali dichiarazioni emerge che il 29/07/15 vi fu un rimprovero da parte di R nei confronti del ricorrente (accusato di non allegare mai gli ordini dei clienti, al contrario di quello che faceva la sua collega, ovvero la stessa V , il che rendeva evidente l’intenzione della stessa R (socia di A ) di non avvalersi più della sua prestazione lavorativa, tanto che M se ne andò via arrabbiato; ciò appare confermato dai fatti avvenuti il giorno dopo, riferiti dalla stessa V , la quale ha dichiarato che M si presentò tardi sul posto di lavoro e A F gli disse “Che ci fai qui? Come mai sei venuto?”, manifestando un’evidente sorpresa per il suo rientro sul posto di lavoro e quindi mandandolo via, facendogli intendere che la sua presenza non era gradita e la sua prestazione lavorativa non era richiesta; a conferma di ciò, si vedano le dichiarazioni di V , la quale ha riferito che A i le disse che “il sig. M si era seduto come se nulla fosse accaduto il giorno prima” e che la presenza in azienda di M durò solo alcuni minuti, il che rende evidente che fu allontanato.
In tale contesto, la lettera di dimissioni in atti (recante la data del 30/07/2015, ovvero lo stesso giorno dell’incontro con ), oltre ad essere in sé e per sé poco compatibile con una volontà di rinunciare al posto di lavoro (mai manifestata e della quale non vi sono cenni nel racconto della V ), anche dal punto di vista giuridico è poco rilevante, non solo perché si tratta di dimissioni solo come socio e non come dipendente, ma anche e soprattutto perché essa è indirizzata ad un datore di lavoro fittizio (A SOCIETA’ COOPERATIVA) e non al datore di lavoro effettivo (A SRL), che è quello che ha poi effettivamente intimato il licenziamento orale impugnato (come si è già evidenziato, R L era socia di , mentre A F , oltre ad essere suo marito, era anche il direttore del personale di A , oltre ad essere quelli che impartivano le direttive sia a M che alla V ).
Per quanto esposto, l’opposizione è infondata e deve essere rigettata, con conferma dell’ordinanza opposta e con accoglimento della domanda proposta con Malagnino, con l’unica differenza che, come richiesto dal lavoratore a norma dell’art. 18 terzo comma L. 300/70, deve essere disposta la sostituzione della reintegra con la corresponsione dell’indennità sostitutiva delle quindici mensilità.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
Il Giudice, visto l’art. 1 co. 57 L.92/12, definitivamente pronunciando, così provvede: Rigetta l’opposizione proposta da A SOCIETÀ COOPERATIVA e A SRL.
Accoglie la domanda di accertamento dell’interposizione fittizia proposta da M F con ricorso ex art. 1 co. 47 L. 92/12 depositato iL 17/09/2015 e, per l’effetto, accerta e dichiara la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra M F e A s.r.l. dal 27 ottobre 2014 con le mansioni, il livello di inquadramento e la retribuzione indicati nelle buste paga in atti.
Accerta e dichiara l’inefficacia del licenziamento intimato in forma orale in data 30/7/2015 e, per l’effetto, ordina a A s.r.l. la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro occupato nello stabilimento di N , con condanna al risarcimento del danno ex art. 18 co. 2 S.L., stabilendo un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento fino alla reintegra e comunque non inferiore a cinque mensilità, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
Visto l’art. 18 co. 3 S.L., condanna A s.r.l. al pagamento in favore di M F della indennità sostitutiva della reintegra pari a quindici mensilità dell’ultima retrbuzione globale di fatto.
Condanna le società opponenti, in solido, al pagamento delle spese di lite del giudizio di opposizione, liquidate in € 2.400,00 oltre rimborso forfetario 15%, IVA e CPA con distrazione.
Lecce, lì 11/06/2018
Il Giudice
Dr. Luca Notarangelo