Lesioni colpose commesse per violazione delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro.
ARTT. 590, c. 3, e 64 . 1 lett. a); ART. 68, c. 1 lett. b) D. Legs. N. 81/2008.
Lavoratore – Mancato rispetto disposizioni sulla sicurezza.
Esclusione della responsabilità penale del datore di lavoro.
TRIBUNALE DI LECCE
PRIMA SEZIONE PENALE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice dott.ssa Bianca Maria Todaro alla pubblica udienza del 18.1.2019 ha pronunziato e pubblicato sentenza mediante lettura del seguente dispositivo nei confronti di :
V G nato a
a, libero assente, difeso di fiducia dagli avv.ti Bruno Larosa e Donato Mellone entrambi presenti;
PPCC assente difeso di
fiducia dalll’avv. F D N presente
INAIL assente , difeso di fiducia da
IMPUTATO: come da foglio allegato
CONCLUSIONI DELLE PARTI
IL P.M. dott. V. Aprile V.P.O. chiede la condanna alla pena di mesi 8 di reclusione
IL DIFENSORE DELLA PC conclusioni scritte e nota spesa chiede la condanna e deposita
IL DIFENSORE DELLA PC INAIL chiede la condanna e deposita conclusioni scritte
l DIFENSORI DELL’IMPUTATO chiedono l’assoluzione
IMPUTATO
dei reati di cui agli artt. 590 – 3° comma c.p., 64 – comma 1° lettera a) – e 68 – comma 1° lettera b) d.lvo 81/08, per avere, in qualità di legale rappresentante della per negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza delle norme sulla sicurezza del lavoro cagionato a R F , dipendente della s.p.a., cui viene commissionato il trasporto di sacchi di dalla lesioni consistite in grave trauma toracico e grave trauma arto inferiore sinistro, giudicate non ancora guarite alla data del settembre 2015 ; in particolare accadeva che R alla guida di autoarticolato SCANIA , di proprietà della s.p.a., dopo avere parcheggiato nella zona insaccamento della C , in attesa che il suo mezzo venisse caricato dai sacchi di a mezzo di muletti di proprietà C guidati da dipendenti di altra società operante all’ interno dello stabilimento C , scendesse dal suo autoarticolato per dare ad un dipendente G s.r.l. che glielo aveva chiesto un tagliarino e venisse travolto da altro muletto della stessa ditta guidato da C M , a causa dell’omesso tracciato dei percorsi per i carrelli elevatori, che permettono la netta distinzione fra zona carrabile e zona pedonale con linee continue e colorate di demarcazione, divieti di transito e sosta dei pedoni, in violazione delle specifiche norme, così cagioandosi le sopradette lesioni.
In agro di Galatina, il 26 agosto 2014.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto di citazione a giudizio del 3 marzo 2016 V G veniva tratto innanzi a questo Tribunale per rispondere del reato in epigrafe indicato.
Alla prima udienza del 17 giugno 2016, verificata la regolare costituzione delle parti e ammessa la costituzione delle parti civili, il giudice dichiarava aperto il dibattimento ed invitava le parti a formulare le proprie richieste istruttorie, che ammetteva con ordinanza.
All’udienza del 10 febbraio 2017, venivano sentiti due testi dell’accusa, dei quali C L , ascoltato solo a chiarimento di quanto in precedenza dichiarato, essendo state acquisite, su consenso delle parti, le relative SIT.
All’udienza del 20 ottobre 2017, venivano sentiti un teste del pubblico ministero e un teste della parte civile, stante il consenso prestato dalle parti all’inversione dell’ordine di acquisizione della prova.
All’udienza del l dicembre 2017, venivano sentiti l’ultimo teste dell’accusa e l’ultimo teste della parte civile.
All’udienza del 18 maggio 2018, venivano escussi quattro testi della difesa, tra cui il consulente di parte, del quale veniva acquisita la relazione.
Dopo un rinvio, stante l’assenza del magistrato titolare per impegni di formazione professionale, all’udienza del 18 gennaio 2019, il giudice dichiarava chiusa l’istruttoria dibattimentale ed utilizzabili tutti gli atti acquisiti ai fini della decisione invitando le parti a concludere. Sulla base delle conclusioni delle parti in epigrafe riportate, il giudice pronunciava la sentenza di cui all’allegato dispositivo, fissando il termine di 90 giorni per il deposito delle
motivazioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene questo giudice che sulla scorta degli elementi acquisiti nel corso dell’ istruttoria dibattimentale non possa giungersi all’affermazione della responsabilità penale dell’imputato in ordine ai fatti contestatigli.
La vicenda può essere ricostruita nei termini che seguono.
R F persona offesa e parte civile nel presente procedimento – era, all’epoca dei fatti, dipendente della I s.p.a., società di autotrasporti, nonché ditta appaltatrice della C s.p.a. – società che gestisce un nel Comune di con l’incarico di provvedere al carico e al trasporto del materiale , prodotto dalla stessa C
Pertanto, nella sua qualità di autotrasportatore, R F in data 26 agosto 2014 si recava presso lo stabilimento C , a bordo del mezzo a lui affidato per effettuare il carico di materiale previsto. Faceva, quindi, ingresso nello stabilimento e si recava nel piazzale di carico merci, corrispondente al ‘reparto insaccamento’, dove operano i carrelli elevatori (anche detti ‘muletti’) addetti alla sistemazione del materiale sull’autocarro. Quindi parcheggiava il proprio mezzo sul lato destro del piazzale (più nello specifico, sul Iato destro della zona del piazzale rappresentata nella fotografia n. 2, acquisita agli atti all’udienza del l 0.2.20 17), in attesa che il carrello elevatore, deputato a caricare il suo camion, procedesse a tale compito. Tuttavia, il conducente del suddetto carrello elevatore, posizionato sul margine opposto del piazzale rispetto al luogo dove si trovava il R , gli chiedeva se fosse in possesso di un oggetto tagliante, perché si erano incastrate alcune cinghie mentre stava inforcando con il carrello alcune pedane. Il R che al momento si trovava all’interno del camion, essendo in possesso di un taglierino , scendeva dal proprio automezzo per portare l’oggetto al conducente del carrello elevatore. Nel far ciò, attraversava l’intero piazzale di carico-merci. Consegnato l’oggetto, faceva, quindi, ritorno presso il proprio autocarro. Tuttavia, nel riattraversare il piazzale, veniva attinto da un altro carrello elevatore che in quel momento transitava per il piazzale medesimo e che non si avvedeva dell’attraversamento del pedone, così investendolo e trascinandolo per qualche metro, non essendosi neanche reso conto subito dell’impatto. In tal modo, cagionava al R lesioni consistite in un grave trauma toracico e un grave trauma all ‘arto inferiore sinistro, giudicate non ancora guarite nel settembre 2015.
Intervenuto nella stessa giornata il personale dello SPESAL (Servizio di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro), presso la ASL di Lecce, quest’ultimo contestava al legale rappresentante della C la violazione dell’art. 64, comma l, lett. a) del d.lgs. n. 8112008 per aver omesso di apporre la segnaletica orizzontale e verticale nel piazzale in questione, in modo da tracciare i percorsi che dovevano seguire i carrelli elevatori durante i loro spostamenti (cfr. verbale del 20.1 0.17, pagg. 4 e 5). Secondo gli accertatori, in sostanza, la definizione, all’interno del piazzale del reparto insaccamento, di percorsi predeterminati e tracciati per lo spostamento dei carrelli elevatori, avrebbe costituito una misura precauzionale valida ad impedire l’incidente verificatosi.
La dinamica dell’ incidente, come sopra descritta, rinviene sufficiente ed adeguata fonte di prova nelle numerose deposizioni acquisite nel corso del processo , le quali sostanzialmente concordano tutte circa le modalità riportate: risulta, in altri termini, incontestato che il R sia stato investito nel piazzale di carico del reparto insaccamento della C , da un carrello elevatore che in quel momento vi transitava, nell’atto di attraversare il piazzale per fornire un taglierino al conducente di altro carrello elevatore che glielo aveva chiesto.
Con riferimento al punto preciso di impatto, ossia alla circostanza che il R sia stato travolto al centro della carreggiata (rectius, del piazzale) o più in prossimità del proprio mezzo, la maggior parte delle deposizioni conclude per la prima eventualità. Nello specifico: a fronte della dichiarazione del R che sostiene di essere stato investito mentre era quasi giunto al proprio automezzo; il teste dell’ accusa C – anch’egli dipendente e testimone oculare dell’incidente, in quanto si trovava in sosta con il proprio autocarro in attesa del proprio turno, dopo quello del R – ha dichiarato che il R è stato attinto quasi al centro del piazzale, ad una distanza di circa 5-6 metri dal proprio camion (cfr. verbale del l 0.2.2017, pagg. 33 e 36); il teste D della parte civile – ossia il conducente del ‘muletto’ che ha chiesto il taglierino al R – ha confermato che l’incidente si è verificato al centro dello spiazzo (cfr. verbale del 20.10.17, pag. 23); il teste C dell’accusa – conducente del ‘muletto’ investitore – ha riferito che stava percorrendo “una strada normale“, un percorso dritto non ostacolato o deviato dalla presenza di materiale nel piazzale medesimo (cfr. verbale del I .12.20 17, pag. 5).
Tanto premesso in punto di fatto, il nodo centrale della vicenda processuale consiste nell’ individuazione di profili di colpa a carico del V , unitamente alla verifica della sussistenza di un nesso causale tra l’eventuale condotta colposa e l’evento in concreto verificatosi.
Quanto al primo aspetto, è noto che l’essenza della responsabilità colposa risiede nel rimprovero che può formularsi nei confronti di un soggetto per avere realizzato involontariamente, ma pur sempre attraverso la violazione di regole doverose di condotta, un fatto di reato che egli poteva evitare mediante l’osservanza, esigibile, di tali regole.
Sotto il profilo del nesso di causalità, deve ricordarsi che negli illeciti colposi la teoria condizionalistica porta a concludere nel senso che la condotta può dirsi condicio sine qua non dell’evento solo quando esso appaia come la concretizzazione del rischio che la regola cautelare violata tendeva a prevenire: il verificarsi dell’evento deve cioè essere rapportabile alla violazione della norma comportamentale di guisa che il primo rientri nella sfera preventiva della seconda, ossia che l’accadimento causato dalla condotta colposa rientri nel novero degli eventi che la regola cautelare violata mirava ad impedire; usando le parole di Cassazione penale, sez. IV, 5 luglio 2000, n. 1553, Di e le, in tema di reato colposo commissivo mediante omissione (omissivo improprio) il rappot1o di causalità giuridica tra condotta ed evento va individuato nell’ambito delle disposizioni di cui agli a11. 40 e 41 comma l c.p., partendo dalla regola generale della “par condicio“, per la quale, quando la condotta dell’uomo sì inserisce nel normale svolgersi degli eventi, essa costituisce una fattore causale anche in presenza di altre circostanze che concorrano alla produzione dell’evento da cui dipende l’esistenza del reato; sicché, dato l’obbligo di impedire l’evento, la condotta negativa, di astensione dall’agire, cioè il non tenere il comportamento comandato costituisce quel fattore causale (concausale) l’intervento del quale altera il normale svolgersi degli eventi e, per questo, è considerato, nel campo del diritto, causa dell’evento.
Orbene, sotto il primo profilo, occorre innanzitutto verificare se e quali obblighi di cautela gravassero sul V , in quanto responsabile legale della ditta committente e proprietaria del piazzale dove si svolgevano le operazioni di carico-merci. In proposito, al V è stata contestata la violazione dell’art. 64, lett. a) del d.lgs. n. 81/2008 (Testo Unico in materia ….), la quale prevede che: “il datore di lavoro provvede affinché: a) i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all’art. 63, commi 1, 2 e 3”. A sua volta, tale ultima norma. al comma 1, rimanda all’Allegato IV del decreto, contenente una serie di prescrizioni e di requisiti, cui i luoghi di lavoro devono risultare conformi. Tale allegato, al paragrafo 1.4. reca le prescrizioni per “vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi”, prevedendo che: “Le vie di circolazione, comprese scale, scale fisse e banchine e rampe di carico, devono essere situate e calcolate in modo tale che i pedoni o i veicoli possano utilizzare facilmente in piena sicurezza e conformemente alla loro destinazione e che i lavoratori operanti nelle vicinanze di queste vie di circolazione non corrano alcun rischio” (punto 1.4.1 ); e che “qualora sulle vie di circolazione siano utilizzati mezzi di trasporto, dovrà essere prevista per i pedoni una distanza di sicurezza sufficiente” (punto 1.4.3 .).
Inoltre, al paragrafo 1.8. dedicato a “posti di lavoro e di passaggio e luoghi di lavoro esterni” viene ribadito che “i posti di lavoro, le vie di circolazione e altri luoghi o impianti all’aperto utilizzati odo occupati dai lavoratori durante la loro attività devono essere concepiti in modo tale che la circolazione dei pedoni e dei veicoli può avvenire in modo sicuro” (punto 1.8.3.) e che “Le disposizioni di cui ai punti 1.4.1., 1.4.2., 1.4.3 ., 1.4.4., 1.4.5, 1.4.6., 1.4. 7. 1.4.8, sono altresì applicabili alle vie di circolazione principali sul terreno dell’impresa, alle vie di circolazione che portano a posti di lavoro fissi, alle vie di circolazione utilizzate per la regolare manutenzione e sorveglianza degli impianti dell’impresa, nonché alle banchine di carico”. In sostanza, il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro impone che, nei luoghi di lavoro ove sia prevista la compresenza di veicoli e di pedoni, il traffico degli uni e degli altri debba essere distinto e delimitato, in modo tale da garantire la sicurezza degli uni e degli altri.
In proposito, è emerso dall’istruttoria dibattimentale che il piazzale di carico dove è avvenuto l’incidente costituisse un’area ben delimitata all’ interno dello stabilimento C deputata esclusivamente al carico degli automezzi attraverso i carrelli elevatori (‘muletti’), priva di accessi ad uffici o a servizi igienici, nell’ambito della quale la circolazione dei pedoni non era affatto prevista ed, anzi, espressamente vietata (su tale determinante circostanza ci si soffermerà funditus di seguito).
Peraltro, deve aggiungersi che è altresì emerso che le operazioni di carico-merci effettuate nel piazzale suddetto da parte dei carrelli elevatori non consentono in alcun modo di tracciarne un percorso prestabilito, sì che sia possibile delimitarlo attraverso una segnaletica orizzontale o verticale. Ed invero, è risultato che i muletti, durante le operazioni di carico, hanno bisogno di un’area in cui effettuare spostamenti in tutte le possibili direzioni (dovendo, in più tempi, raccogliere il materiale stoccata ad un bordo del piazzale e sistemarlo sul camion parcheggiato): non seguono, quindi, un percorso predefinito, ma hanno bisogno di raggiungere liberamente i bordi del piazzale sia per caricare il materiale, sia per riporlo all’interno degli autocarri. Per tale motivo, come accennato, è fatto divieto ai pedoni – ed in particolare agli autisti dei camion – di circolare nel piazzale e, sempre per tale motivo, i conducenti dei carrelli elevatori sono formati e istruiti per caricare un camion per volta e per non effettuare alcun movimento quanto il conducente del camion è costretto a scendere per aprire e richiudere le sponde o per altre mansioni specifiche (anche su tale punto si tornerà a breve).
Di conseguenza, data la peculiarità delle movimentazioni dei carrelli elevatori all’interno del piazzale di carico, che rende impossibile predeterminarne un percorso fisso, la C , pur a seguito delle infrazioni riscontrate dallo SPESAL, è riuscita a persuadere di tale circostanza l’organo accertatore, che, pertanto, ha conseguentemente ritenuto bastevole al soddisfacimento delle prescrizioni imposte il fatto che la C provvedesse ad aggiungere o a ripristinare la segnaletica orizzontale esclusivamente nelle zone in cui è previsto sia il transito di veicoli che di pedoni e dove i veicoli possono seguire una traiettoria ben definita. La C non ha, invece, apposto alcuna segnaletica all’interno del piazzale dove è avvenuto l’incidente e , ciononostante, in data 1.6.2015, lo SPESAL ha constatato la completa ottemperanza da parte della ditta alle prescrizioni impartitegli (cfr. relativo verbale di visita e accertamento, allegato n. 8 alla consulenza tecnica di parte, in atti e deposizione di B in data 18.5.2018).
Di conseguenza, anche sotto lo specifico profilo della violazione delle norme di sicurezza sui posti di lavoro, allo stato risulta che nessuna violazione specifica sia stata commessa dal datore di lavoro della C all’interno del piazzale di carico, posta l’impossibilità, di cui sopra si è detto, di predeterminare gli spostamenti dei ‘muletti’ all’interno di quell’area e, quindi, di apporvi una segnaletica che li delimitasse.
***
Ma ciò che più rileva, sia con riferimento al profilo della colpa, sia con riferimento alla sussistenza del nesso di causalità, è la circostanza che – proprio in considerazione dell’esigenza di lasciare liberi i carrelli elevatori di muoversi in più direzioni – all’interno del piazzale suddetto non fosse prevista, rectius fosse stata esplicitamente vietata, la circolazione dei pedoni, ed. in particolare, degli autisti dei camion deputati a trasportare il materiale della C
Tale circostanza emerge chiaramente dalla lettura dell’ opuscolo informativo che la C – come confermato da tutti i testi sentiti sul punto – aveva distribuito alle ditte di trasporti che transitavano con i propri camion all’interno dello stabilimento. In tale opuscolo, infatti, sono riportate le seguenti prescrizioni, specificatamente rivolte agli autisti dei mezzi destinati al trasporto delle materie prime: “È fatto divieto assoluto di [ … ] circolare liberamente nello stabilimento … “ (punto 9) ed “È fatto obbligo di rimanere possibilmente in cabina, scendere soltanto per le operazioni di apertura/chiusura delle sponde. Nel caso in cui sia necessario sorvegliare le operazioni di carico del mezzo, farlo a distanza, tenendosi sempre fuori dal raggio d’azione delle macchine operatrici” (punto 12). Come è evidente, pertanto, il rischio di investimento degli autisti dei camion trasportatori, da parte delle macchine operatrici (i .e. i carrelli elevatori o ‘muletti ‘) deputate al carico-merci, era stato ben individuato dalla ditta C e risolto con un divieto assoluto di libera circolazione da parte degli autisti dei camion, all’interno dello stabilimento e con precise prescrizioni che imponevano agli stessi di rimanere all’interno del veicolo durante le fasi di carico-merci, tranne che per le operazioni di apertura e chiusura delle sponde e di controllo del carico, durante le quali dovevano comunque tenersi in prossimità del proprio mezzo e fuori dal raggio d’azione dei carrelli.
Che tali prescrizioni fossero state impartite correttamente agli autisti dei camion e fossero note, in generale, al personale presente nello stabilimento, si evince dalle deposizioni raccolte. È lo stesso R ad ammettere di essere a conoscenza dell’esistenza di tale protocollo di comportamento (cfr. verbale del l 0.2.2017, pag. 1 2) ; della vigenza di tale divieto danno atto anche D (il ‘mulettista’ che ha chiesto il taglierina al R , cfr. verbale 20. 1 0.17 del p. 23 e 24), C (il ‘mulettista che ha investito il R cfr. verbale del 1.12.1 7, pag. 6 ), S dipendente C (cfr. verbale del 18.5.18, pag. 5), C , responsabile del reparto insaccamento C (cfr verbale del 18.5.18, pag. 7). Inoltre, il teste F titolare della ditta di cui era dipendente R ha confermato di aver correttamente informato tutti i suoi dipendenti della disposizione che vietava loro di scendere dal camion, se non nelle suddette particolari fasi ed alle suddette particolari condizioni (cfr. verbale del 1.12.2017, pagg. 12 e 13).
Come sopra si è visto, quindi, il divieto per gli autisti dei camion di scendere dalla cabina del camion non era assoluto. In particolare, è emerso dall’istruttoria (ed è confermato dalle disposizioni C sopra riportate) che gli autisti scendessero dall’automezzo, quantomeno nei seguenti momenti: 1) per consegnare la cd. bolla di carico al ‘mulettista’, addetto a spostare la merce sul camion; 2) per aprire e chiudere le sponde del camion; 3) per controllare il carico effettuato dal ‘mulettista’, atteso che gli autisti sono responsabili per la corretta tenuta di tale carico, durante la circolazione su strada (in proposito, è altresì emerso che, nonostante tale controllo potesse essere effettuato in un secondo momento, ossia all’uscita dallo stabilimento, fosse prassi effettuarlo durante il carico, per poter eventualmente modificare immediatamente il posizionamento del materiale, con notevole risparmio di tempo). Nel corso delle suddette tre fasi operative vi era, quindi, o la necessità (aprire e chiudere le sponde del camion) o l’utilità (per le altre due operazioni) di scendere dal camion.
Tale circostanza, tuttavia, lungi dal minare la portata prescrittiva delle disposizioni comportamentale sopra riportate, ne conferma la validità, in quanto tali evenienze erano state conettamente previste, laddove al punto 12 il protocollo C prescriveva di ” … scendere soltanto per le operazioni di apertura/chiusura delle sponde. Nel caso in cui sia necessario sorvegliare le operazioni di carico del mezzo, farlo a distanza, tenendosi sempre fuori dal raggio d’azione delle macchine operatrici”. Di conseguenza, il divieto di scendere dal camion subiva esclusivamente le deroghe sopra menzionate, costringendo comunque l’autista a rimanere in prossimità del proprio autocarro e comunque fuori dal raggio di azione dei muletti. Peraltro, che tali prescrizioni fossero abitualmente rispettate – e cioè che gli autisti che scendevano dal camion rimanessero vicino al proprio automezzo- è stato confermato in dibattimento dalle deposizioni del R (verbale del 10.2.17, pag. 20), del C , collega del primo (verbale del 10.2.17, pagg. 29, 30 e 31: chiaro nel ribadire che le operazioni sopra menzionate non implicavano un allontanamento dell’autista dal camion), del M (verbale del 20.10.17, pag. 5) e del S (verbale del 18.5.18, pag. 5).
Peraltro, il teste L , Ingegnere dipendente della C , specificava che, proprio in considerazione di tali specifiche occasioni in cui gli autisti devono scendere dal camion, i carrellisti erano stati specificamente formati ad evitare di procedere al carico se l’autista del camion non era prima risalito in cabina (cfr. verbale del 18.5.18, pag. 10). Di conseguenza, appare chiaro come fosse stato correttamente previsto e gestito, da parte della C , il rischio di interferenza tra i movimenti dei carrelli elevatori e la discesa degli autisti dai camion, prevedendo che non ci dovesse essere nessuna contemporaneità tra le due azioni.
In tale ottica e con le sopra specificate precisazioni devono, quindi, intendersi i riferimenti alla prassi di scendere dai camion operati da alcune deposizioni acquisite: i momenti e le modalità con cui tale discesa poteva avvenire erano predeterminati nonché strettamente connessi a specifiche mansioni lavorative.
Certamente non rientrava in tali deroghe l’attraversamento del piazzale, da un margine all’altro, per andare a fornire un utensile ad un altro dipendente che ne aveva necessità.
L’incidente che ci occupa, infatti, si è verificato mentre il R del tutto arbitrariamente, era sceso dal proprio autocarro e si era allontanato da esso, attraversando l’intero ampio piazzale da un margine all’altro, all’esclusivo scopo di aiutare un collega nello svolgimento delle sue mansioni. Tale azione, pur animata da spirito solidaristico (di per sé apprezzabile), costituiva pur sempre una consapevole infrazione delle disposizioni impartite, peraltro del tutto estranea alle mansioni lavorative del R
Né poteva dirsi una prassi consolidata che gli autisti scendessero dagli automezzi e attraversassero liberamente il piazzale. Ancora una volta è lo stesso R a confermarlo, sottolineando l’eccezionalità dell’evento e l’abitudine, al contrario, di mantenersi vicino alla cabina, come da prescrizioni impartite (verbale del 10 .2.17, pagg. 19 e 20); ribadita dal C il quale conclude, sostenendo che “Se non fosse stato chiesto il coltellino [il R n.d.r.] non si sarebbe mai spostato” (pag. 37).
Gli unici a poter avere qualche libertà di movimento in più all’interno del piazzale erano i carrellisti, in quanto formati in maniera specifica a gestire i propri movimenti in base a quelli degli altri carrelli elevatori, in modo tale da evitare rischi (cfr. deposizione di M verbale del 20.10.17, pag. 16; deposizione di C verbale del 1.12.17, pag. 6; deposizione di C verbale del 18.5.18, pagg. 7 e 10).
Quanto sopra premesso, in punto di diritto deve darsi atto dell’evoluzione compiuta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di infortuni sul lavoro, che, come condivisibilmente specificato da Cass. Pen. n. 36040/2015, ha abbandonato un modello cd. ‘iperprotettivo’, incentrato esclusivamente sulla figura del datore di lavoro e sui suoi obblighi di prevenzione degli infortuni, in favore di un modello cd . ‘collaborativo’, che valorizza anche il principio di autoresponsabilità del lavoratore, da considerarsi quale parte attiva della realtà aziendale e come soggetto titolare non solo di un diritto alla sicurezza, ma anche di un dovere di rispetto delle relative prescrizioni . Pertanto, alcuni comportamenti, che si pongono in consapevole contrasto con le regole di sicurezza vigenti, non possono che essere qualificati come ‘abnormi’, con l’effetto di escludere l’addebito di responsabilità in capo al datore di lavoro. Conseguentemente, un datore di lavoro che ha correttamente curato manutenzione e formazione non può essere ritenuto responsabile di un comportamento non arginabile, in quanto consapevolmente e volontariamente perseguito dal singolo. Pertanto: “l’ipotesi tipica di comportamento ‘abnorme’ è quella del lavoratore che violi ‘con consapevolezza’ le cautele impostegli, ponendo in essere, in tal modo, una situazione di pericolo che il datore di lavoro non può prevedere e certamente non può evitare” (Cass. Pen., Sez. feriale, sent. 12.8.2010, n. 32357).
In conclusione, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta colposa del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia eccezionale ed imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. A tal fine, non è sufficiente il compimento da parte del lavoratore di un’operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo, che il garante è chiamato a governare (Cass. Pen.. n.43852 del 2018). Peraltro, la condotta non può considerarsi eccentrica, laddove il lavoratore stia compiendo, sia pure in modo imprudente, una condotta ‘tipica’ del segmento lavorativo cui è addetto (Cass. Pcn., n. 49821/2012).
Orbene, nel caso di specie, non v’è dubbio che il R abbia posto in essere una condotta eccentrica rispetto alle proprie mansioni lavorative (le quali, al contrario, gli avrebbero imposto di rimanere vicino al proprio automezzo), certamente non tipica del segmento lavorativo cui era addetto, attivando così un rischio elettivo, ossia scelto consapevolmente, e non governabile, perché non prevedibile, dal datore di lavoro.
Non valgono a destituire le sopra esposte conclusioni i precedenti giurisprudenziali specifici in materia di incidenti analoghi avvenuti nei piazzali di carico e scarico, i quali hanno attribuito rilievo all’assenza di una segnaletica orizzontale, atteso che in tali precedenti, a differenza che nel caso di specie, era prevista la contemporaneità tra la circolazione dei mezzi di carico e quella dei pedoni, ponendosi entrambi come comportamenti leciti (con conseguente responsabilità per il datore di lavoro, qualora abbia omesso di governare il relativo rischio interferenziale: Cass. Pen. n. 44793/2015).
Nel caso di specie, al contrario, non solo non era prevista – ma anzi, era espressamente vietata – la contemporaneità di movimento tra mezzi e pedoni nel piazzale di carico C
Inoltre – come si è sopra detto – l’apposizione di segnaletica orizzontale non era concretamente ed efficacemente realizzabile, stante l’impossibilità di determinare a priori i percorsi percorribili dai carrelli elevatori (come riconosciuto implicitamente dalla stessa SPESAL con il proprio verbale di accertamento e verifica conclusivo, sopra citato).
In ogni caso, anche un’eventuale apposizione di segnaletica orizzontale o verticale non avrebbe impedito l’evento, essendosi lo stesso verificato al centro della carreggiata del piazzale, dove comunque sarebbe stato consentito il passaggio dei ‘muletti’ anche in presenza di segnaletica e dove non sarebbe stato previsto alcun attraversamento pedonale, atteso che non vi era nessuna ragione perché gli autisti dei camion compissero detto transito, non essendo tale spostamento necessitato né dalle operazioni rientranti nelle loro mansioni (di consegna bolla, apertura sponde e verifica carico) né da alcun’ altra ragione (non essendoci in quella zona uffici o servizi igienici).
Il sin qui detto osta, pertanto, all’affermazione della responsabilità penale dell’imputato. sia sotto il profilo della colpa, sia sotto quello della sussistenza del nesso di causalità.
P. Q. M.
Visto l’art. 530 c.p.p.
Assolve l’imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato.
Fissa in 90 giorni il termine per il deposito della sentenza.
Lecce, 18 gennaio 201 9
Il Giudice